29 settembre 2009

0057 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Frustrazioni architettoniche di Maurizio Arturo Degni

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Frustrazioni architettoniche di Maurizio Arturo Degni

Gli Architetti vanno apprezzati tutti e criticati tutti.
Ammetto di avere un debole per Renzo Piano (o per il RPBW), apprezzo il suo artigianato; la pulizia dei suoi segni e dei suoi spazi.
La sua maniacale cura per il particolare (tecnico) e per la piccolissima scala.
Riesce a trasformare le norme UNI EN ISO (ecc) in Architettura, non vedendole come ostacoli all'idea di progetto, ma come parte integrante di essa.
Credo sia innovativo ed innovatore.
Un uomo che riesce ad essere Architetto ...e "granello di sabbia".

Ultimamente sto studiando i lavori del giovane (per modo di dire) Architetto Cileno Alejandro Aravena (1967) vincitore del Leone d'oro come Architetto Emergente alla Biennale di Venezia.
Lo cito in quanto non fa architettura su un foglio, ma nei luoghi e negli spazi. Di lui mi piace l'intimo rapporto mentale che sembra avere con i fruitori delle sue opere.
Il progetto ELEMENTAL è particolarmente interessante, consiste in un isolato di abitazioni a schiera duplex a 7.500 dollari l'uno, completamente modificabili (o meglio completabili) dagli utenti finali.
Riporta l'abitazione in possesso di chi la abita, che la può trasformare (o meglio completare) secondo il proprio "gusto" e i propri reali bisogni;
togliendo all'architettura quell'alone di scultura da museo, immutabile (e spesso "muta").

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7 commenti:

  1. Maurizio,
    vorrei aggiungere un aneddoto che riguarda ancora una volta Renzo Piano, molto gettonato in quest’inchiesta, una notizia datata 21 aprile 2001:
    "Il primo grattacielo del nuovo millennio parla italiano. Sarà Renzo Piano a costruire la nuova sede del New York Times. L’approvazione ufficiale è di questi giorni. Un colosso di cinquantacinque piani e trecento metri d’altezza, fra l’ottava e la quarantesima, non lontano dalla prima sede, Times Square (da New York Times, s' intende), a Broadway. Dopo il Beaubourg a Parigi, Postdammerplatz a Berlino, la sede del Times è destinata a lasciare l’impronta del «Brunelleschi del Duemila», come lo chiama la stampa americana, su un’altra città mito. A New York, capitale della modernità, si è in realtà costruito pochissimo negli ultimi decenni. Il concorso per il Times ha dunque eccitato l’opinione pubblica americana, per il nome dei concorrenti, da sir Norman Foster a Cesar Pelli a Frank O' Gehry, e lo splendore dei progetti. Ma alla fine il consenso al progetto di «grattacielo leggero», «intonacato di luce», per usare un verso di Attilio Bertolucci, è stato unanime. Nonostante fosse il meno «americano», il più europeo dei grattacieli, il più lontano dall’impronta neogotica di New York. O anzi, proprio per questo. Cominciamo con la curiosità più ovvia. Come mai un teorico della leggerezza in architettura e non solo: anche nell’arte e nella vita si mette a costruire un grattacielo nel cuore di Manhattan, una città dell’informazione per mille giornalisti e tremila impiegati? «Anzitutto perché mi piace sperimentare, assai più che fare teoria, e l’occasione era unica. E' vero, ho costruito in tanti anni un solo grattacielo, la torre di Sydney, e non per caso. Ma non credo di essermi smentito. Al contrario, ho provato a portare la leggerezza laddove è più difficile e sorprendente, quasi impossibile. L’avventura di costruire un grattacielo "leggero" è quasi una sfida alle leggi di gravità». Agli americani è piaciuta questa fedeltà a un concetto di architettura europea, «normale», sostenibile, si sono scatenati in richiami al Rinascimento, nel ritratto di un «umanista italiano» alla Brunelleschi. «A parte i paragoni impossibili, c’è che soltanto ora gli americani cominciano a guardare al futuro di New York e a immaginarsela anche diversa. Finora l’avevano soltanto protetta dalle mode, a ragione. Per esempio, dalla confusa moda del postmoderno. Ma ora volevano qualcosa di nuovo, un grattacielo "trasparente", contro l’imponenza dei grattacieli newyorkesi, funzionale all’idea di un grande strumento democratico com’è un giornale»" (Curzio Maltese, ‘Intervista a Renzo Piano’, La Repubblica, 21 aprile 2001)

    Cinque mesi prima dell’11 settembre 2001 e otto anni prima della messa in vendita dello stesso grattacielo costruito da Renzo Piano.
    Una piccola nota anche un giornalista esperto come Curzio Maltese utilizza termini banali che contribuiscono alla confusione sui temi dell’architettura, eccoli: lasciare l’impronta, Brunelleschi del Duemila, città mito, capitale della modernità.

    Il progetto di Alejandro Aravena che citi, ricorda le sperimentazioni degli inizi della carriera di Piano, mi piace l’idea che la facciata che si presenta di grezzo cemento a faccia vista possa essere tinteggiata a piacimento dagli abitanti.

    Scusa se ti correggo l’architettura non è forse immutabile è semplicemente mutabile, cambia aspetto quotidianamente.
    Un edificio del 400' anche se ben conservato non sarà l'originale ma la somma del vissuto e delle manutenzione che sono avvenute nel tempo.
    L'architettura è in movimento.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. Caro Salvatore,
    Ti ringrazio per l'aneddoto (inserto).

    Riguardo al progetto Elemental in effetti ricorda la Casa Evolutiva del giovane e barbuto Piano, hehehe non c'avevo pensato.
    La differenza credo che sta nel fatto che la Casa Evolutiva di piano poteva evolversi solo attraverso i modi previsti dal progetto, mentre l'Elemental di Aravena può muoversi in qualsiasi direzione voluta "dall'utente"

    Sono d'accordo con te che l'architettura cambia di giorno in giorno, ma io mi riferivo alla volontà di immutabilità (vedi Wight), alla tirannia dell'architettura.

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  3. Maurizio,
    trovo anch’io più stimolante il progetto di Alejandro Aravena privo di tutti i concetti definitivi dell’opera dell’architetto.
    A proposito d’immutabilità, oggi vedevo su internet una puntata di ‘Passepartout’ dal titolo ‘L’urbanistica’.
    Ecco il link: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ed7701bf-c316-4772-9a7e-3d3dd75650df.html?p=0
    Si mostrava il PRG di Modena, che detterà le regole per i prossimi 100 anni, sono rimasto stupefatto per tanta visione futuristica.
    L’architetto ‘mago’ mi destabilizza.
    Un progetto uniforme, lotti in continuità visiva con la strada con corti interne, si perde il concetto più interessante delle città italiana: la superfetazione.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  4. Grazie per l'interessante link Salvatore.
    Devo dire che sono d'accordo con molte delle cose asserite dal Prof. Mario Romano, ma ammetto anche di non aver nessuna fiducia nella pianificazione urbanistica a larga scala (sia spaziale che temporale).
    Neanche il Barone Haussmann avrebbe osato tanto.
    Però a mio avviso è un tentativo interessante.
    Riguardo alla superfetazione non sò che dire, devo pensarci....

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  5. ----> Maurizio,
    mi preoccupa il termine 'tentativo' in urbanistica.
    Molte delle idee di Marco Romano sono interessanti ma la sua idea estetica della città è molto elitaria, come i suoi lotti appartengono a un urbanista da salotto buono.
    Un’idea di città molto borghese.
    A proposito di superfetazione, pensaci bene, non esiste una città italiana (con forte carattere storico) concepita se non per sovrapposizioni.
    Una lezione della storia che spesso viene trascurata dai prof che studiano le pietre solo per trovare la strada della filologia dimenticandosi la bellezza dei luoghi trasformati quotidianamente.
    Una città deve essere progettata considerando la sua quotidiana evoluzione e non la sua innaturale estetica staticità.
    Saluti,
    Salvatore D'Agostino

    P.S.: comunque ti consiglio la lettura del suo ultimo libro ‘La città come opera d’arte’ per i tipi Einaudi.

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  6. Chiunque sano di mente si preoccupa quando sente accostate le parole "urbanistica" e "tentativo", ma credo che la sperimentazione sia come sempre cosa buona (o meglio necessaria), visto che non vedo alternative valide.
    Non conosco in modo approfondito le teorie del Prof. Marco Romano (quantomeno non abbastanza da criticarle), ma la cosa che mi preoccupa maggiormente dei PRG (di tutti) è la loro bidimensionalità e la loro "mono-tonalità".

    Le superfetazioni e l'edilizia spontanea sono quelle che hanno reso i borghi storici Italiani i più "belli", i più "copiati", i più studiati (e sudati); ma nel corso della loro millenaria storia, quelle che vi si sono sovrapposte, sono stratificazioni figlie dello stesso pensiero, degli stessi materiali, di tecnologie e di sistemi costruttivi consolidati.
    La complessità funzionale e l'estensione di questi agglomerati non è paragonabile con quella delle moderne città.
    I miei dubbi sul tema urbanistico sono talmente tanti che è meglio se soprassiedo.
    Ma a quanto ho capito il Pilotis non va, l'isolato chiuso torna alla ribalta (e con lui la facciata principale), i materiali "fanno città".
    E suppongo che lo sviluppo in altezza, la congestione, la densità sia cosa buona per la città.

    P.S. Seguirò sicuramente il tuo consiglio letterario.

    P.P.S. Ma l'architettura e l'urbanistica non sono di per se elitarie e borghesi?

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  7. Maurizio,
    non ho mai fatto un piano regolatore ma spero in futuro di confrontarmi con quest’ardua sfida.
    Il tuo ultimo P.P.S. merita una riflessione.
    Prendo uno spunto tratto da Gabriele Basilico, Corso di fotografia-architettura e partecipazione, Rivista abitare, n. 486, pp.34-36: «”…la società Terni decide di ricostruire ex novo il villaggio Matteotti e affida l’incarico all’architetto Giancarlo De Carlo. Al di là dei fattori economici e tecnici che caratterizzano’iter progettuale, la peculiarità di questo lavoro è la decisione di avviare un processo di partecipazione con cui responsabilizzare, coinvolgendoli, i destinatari degli alloggi, e di confronto continuo sul ruolo del committente, dell’esperto e dell’utente. In fasi successive si perviene a proposte di massima e a decisioni sulla tipologia dei singoli alloggi. Queste scelte hanno il merito da una parte di scavalcare il tradizionale ruolo dell’architetto, e dall’altra di innescare in prospettiva un processo dell’architetto, e dall’altra di innescare in prospettiva un processo di autogestione […] L’equilibrio partecipativo rischia proprio di perdersi nel momento della costruzione, e chi decide, in ultima analisi, è sempre l’architetto. Finitura in cemento a vista senza intonaco, finestre continue, percorsi comuni sopraelevati si compongono in u n linguaggio rigoroso e spartano che concede pochissimo spazio a interventi autonomi e spontanei. […] Le immagini degli interni raccontano senza pietà le difficoltà incontrate da De Carlo nel fare accettare agli utenti, cioè agli inquilini, non esperti di cultura architettonica, il suo linguaggio radicale, “brutalista”. Forse un po’ ostico, che si contrapponeva alle loro aspirazioni e alle loro aspettative. Con orgoglio gli abitanti del Villaggio Matteotti si mettevano in posa fra decori che cercavano di annullare il rigore dell’architettura. Le immagini degli interni, con le loro soluzioni sovrabbondanti e a volte Kitsch, rimangono a testimoniare l’esito ambiguo di un progetto architettonico, che nasceva con intenti indubbiamente architettonici e innovativi.
    Il servizio fotografico destò grande interesse per il suo linguaggio sorprendente e provocatorio. Ricordo che, viste le foto pubblicate, De Carlo ne fu un po’ amareggiato. Questo mi dispiacque per la grande stima che avevo, e ho , per lui come architetto e come uomo.»
    Qui google map: http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=terni,+via+matteottti&sll=42.545066,12.658117&sspn=0.009185,0.014634&ie=UTF8&ll=42.547722,12.658712&spn=0.002182,0.003659&t=h&z=18
    Giancarlo De Carlo è stato un architetto importante il meno accademico e il più innovativo.
    Attento, come si vede, ai temi sociali.
    Stabilito il concetto intrinseco delle città, la superfetazione (non sempre la stratificazione segue lo stesso pensiero spesso si annullano i codici ritenuti desueti del passato), vorrei introdurre un altro concetto, la disambiguità..
    Disambiguo significa frase o gruppo di frasi che definiscono significati diversi secondo il contesto.
    Una città è per sua natura disambigua, accetta nel suo interno significati e usi diversi dell’abitare, nel momento in cui si vuole bloccare e codificare il suo significato in un unico concetto diventa una ‘non città’ ovvero luogo strutturato per gli estranei della città i turisti.
    Un urbanista non può trascurare questi due concetti superfetazione e disambiguità (questi due concetti ovviamente non considerano i PRG come bidimensionali e monotoni).
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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