2 dicembre 2011

0023 [A-B USO] Fuori Venezia Venezia Dentro

Fotografie e design: Italo Zannier 
Testo: Elia Barbiani / Giorgio Conti

[ndr in allegato alla rivista 'Urbanistica' n. 68-69 del dicembre 1978 uscì un pieghevole di formato 93,6 x 62,7 cm.; due facciate un esterno e un interno, che conteneva il saggio fotografico di Italo Zannier con contributi di Giorgio Conti e l'archivio fotografico del comune di Venezia,  FUORI VENEZIA VENEZIA FUORI – l’esterno del foglio – e DENTRO VENEZIA VENEZIA DENTRO – il suo interno -.
Nella prima pagina e nel retro - 23,4 x 31,35 cm – inizia il racconto fotografico per le strade di una Venezia fuori dal circuito turistico. 
Il primo movimento – 23,4 x 62,7 cm - ci offre un’immagine in verticale di un vicolo del ‘Sestiere di Castello’.
Con la seconda apertura – 46,8 x 62,7 cm – osserviamo quindici paesaggi urbani.
Il terzo e ultimo sfoglio - 93,6 x 62,7 cm - ci porta all’interno delle case veneziane; ventuno luoghi intimi DENTRO VENEZIA VENEZIA DENTRO.]
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FUORI VENEZIA
VENEZIA FUORI

Venezia per immagini rappresenta la sublimazione dell’uso e dell’abuso del «medium» fotografico. L'ideologia della città unica ha portato a diffondere una immagine stereotipata e consumistica che non corrisponde alla Venezia del quotidiano ed esclude i suoi cittadini. Basta però uscire dai percorsi turistici, dai luoghi deputati al consumo dell’immagine della città, per ritrovare la Venezia tagliata fuori, per capire che esiste la Venezia moderna della terraferma (Mestre, Marghera), per cogliere la diversa qualità della vita dentro e fuori Venezia.
La peggiore Venezia, la Venezia dei sestieri più degradati , è migliore della migliore Mestre, dei quartieri coordinati, modernizzati, alienati. Basta entrare dentro le case per capire che il «problema» di Venezia è il problema classico dei centri storici, il problema degli alloggi, della senilizzazione dei residenti, della precarietà – al limite del tollerabile – dell’habitat degli studenti. 
Questa immagine dentro la vera Venezia e fuori dalla Venezia ufficiale conferma che non esiste tanto una Venezia speciale quanto una specificità del problema di Venezia, per il quale finora gli strumenti speciali, le leggi speciali, i piani speciali, sono serviti da mero alibi.

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8  Mestre (1978)
9  Sestiere di S. Marco (1978)
16 Mestre (1978)
17 Mestre (1978)
22 Mestre (1978)
23 Mestre (1978) 



Retro Marghera, Quartiere CITA (1978)


Primo sfoglio Sestiere di Castello (1974)
Seconda apertura 
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1 Sestiere di Castello, Marinaressa (1974)
2-7 Sestiere di Castello (1974)
12-15 e 18-21 Mestre (1978) 


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DENTRO VENEZIA 
VENEZIA DENTRO


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1 Casa al pianoterra nel Sestiere di Castello (1974)
2-4 Sestiere di Castello (1974)
5 Casa di studenti nel Sestiere di S. Croce (1978)
6 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
7-8 Sestiere di Castello (1974)
9 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
10-11  Sestiere di S. Marco (1978)
12-13 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
14 Sestiere di Castello (1974)
15 Casa di studenti nel Sestiere di S. Croce (1978)
16 Sestiere di Castello, 1963 (archivio fotografico del Comune di Venezia)
17 Sestiere di Castello, 1963 (archivio fotografico del Comune di Venezia) 
18 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
19 Casa di studenti nel Sestiere di S. Croce (1978)
20 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
21 Sestiere di S. Marco (1978) 




 
2 dicembre 2011
Intersezioni ---> A-B USO
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Nota:
1 Allegato alla rivista 'Urbanistica' n. 68-69, dicembre 1978 curata da Marco Romano, le fotografie n. 8, 10, 12-23 di 'Fuori Venezia/Venezia Fuori' sono di Giorgio Conti.
Per conoscere il pensiero di Italo Zannier  vi suggerisco di ascoltare una sua video intervista rilasciata agli autori di archphoto.*

7 commenti:

  1. Molto postsituazionista come allegato! Mi piace molto l'idea... Sono incuriosito se davvero i direttori della rivista, che non sono famosi per il loro carattere avanguardista, abbiano o meno compreso la portata del piccolo fascicolo che illustri in questo post...

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  2. Emma,
    non saprei dirti, so solo che le nostre biblioteche sono dei tesori (altro che Web).
    La rivista ‘Urbanistica’ è stato un piccolo gioiello (a tratti non sempre) in questo momento manca un approfondimento serio sui temi ‘urbani’.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  3. Giulio Pascali il 4 dicembre, a proposito di questo post, ha scritto su fb:«Venezia é in questo un'avanguardia e un emblema di un problema comune a tutti i centri storici in conflitto tra la cristallizzazione protezionistica e la contaminazione d'uso contemporanea».
    Riporto la mia risposta: « Giulio,
    usi due espressioni da non sottovalutare:
    cristallizzazione protezionistica;
    contaminazione d'uso contemporanea.
    Un dissidio italiano profondo con radici storiche lontane nel tempo.
    Hai mai letto gli editoriali delle prime riviste italiane ‘1925-1940’?
    Se ci permetti ne parliamo su WA.
    Buona domenica».
    Occupandomi del dibattito che sta avvenendo in questi anni sul Web e del delicato passaggio delle riviste cartacee verso l’editoria digitale, sto ripercorrendo a ritroso le tappe dell’editoria italiana.
    Il Web, spesso, ha un brutto rapporto con la storia.
    Inoltre, sovente, amplifica l’uso giornalistico dell‘indignato/opinionista, ovvero tuttologici capaci di aver ‘un punto di vista’ su qualsiasi tema ‘caldo’.
    Ti anticipo che in primavera, per evitare le opinioni ‘smemorate’, aprirò una rubrica storica ‘Calendario’.
    Ti cito un punto d’inizio a proposito del ‘dissidio’ italiano che da cent’anni, senza soluzione di continuità, ci ritroviamo come tema al centro o ai bordi dell’architettura italiana.
    Subito dopo la prima guerra mondiale un gruppo d’intellettuali creò una rivista ‘La ronda’ (1919-1923) con l’intenzione di «far quadrato attorno ai solidi canoni della tradizione».
    Ti riporto una sintesi di un articolo apparso nel novembre del 1921 e firmato da Mario Bocchielli titolo ‘Nuovi orizzonti dell’edilizia cittadina, pp. 161-165: «L’autore esprime la propria amarezza per "imbruttimento progressivo e sistematico delle città italiane" e per "l’irreparabile decadenza del senso estetico degli uomini del presente". Egli afferma che "la bruttura moderna" non va ricercata nelle industrie, nelle fabbriche o nei ponti di ferro, opere "impersonali e pertanto prive di ambizioni e di responsabilità d’alte", ma invece "nella continua e disastrosa confusione e interferenza tra l’artistico e l’industriale", dovuta "all’orgoglio di ogni capomastro e di ogni proprietario di villino di far opera d’arte". A suo giudizio spesso gli architetti moderni realizzano costruzioni che, per le loro caratteristiche, non si armonizzano con l’ambiente circostante, cosicché "paiono cadute là chissà da dove (probabilmente da un catalogo di costruzioni edilizie tedesco o inglese)". Proprio in base a queste sue considerazioni Bacchelli afferma che gli architetti e gli edili moderni dovrebbero imporre una limitazione "alla propria libertà artistica", in modo da liberare le città dallo "spettro dell’orrore edilizio degli ultimi decenni". In conclusione l’autore cita a suffragio delle sue convinzioni il discorso pronunciato dall’architetto Marcello Piacentini in occasione dell’inaugurazione del secondo anno accademico della Reale Scuola Superiore di Architettura di Roma».
    Nel gennaio 1941 l’editoriale “Potremo salvarci dalle false tradizioni e delle ossessioni monumentali” di Giuseppe Pagano (che pubblicherò nella futura rubrica) sul numero 157 di Casabella fu segnalato dal regime fascista (periodo piacentiniano) e il successivo ‘Occasioni perdute’
    costò il sequestro della rivista. Di lì a qualche anno Pagano morirà in un campo di concentramento.
    Ovvio non c’è nessuna relazione tra il dibattito moderno/tradizione e la cultura fascista perché all’interno di questo movimento ci furono diverse fasi molto controverse tra di loro.
    Il dissidio che tu evidenzi, ha radici antiche che andrebbero laicamente analizzate.
    Poiché l’osservazione dell’oggi senza memoria rende tutto più povero.
    Come gli strali moderno VS tradizione senza memoria (soprattutto sul web) non ci porta da nessuna parte.
    Buon tutto,
    Salvatore D’Agostino

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  4. venezia è assai diversa dagli altri centri storici italiani. è incontaminabile... non dal punto di vista del linguaggio, quello è perfettamente fattibile ma dai mezzi contemporanei che usiamo per spostarci. venezia è difficile da vivere per la maggior parte delle persone. difficoltà che non è nemmeno lontanamente paragonabile con gli altri centri storici che, nonostante tutto, posso essere vissuti e adattati.
    per fare un esempio banale: chioggia (piccola venezia a sud della laguna) è vivissima per il semplice motivo che le auto possono tranquillamente scorazzarci dentro...in maniera assurda e surreale, vengono parcheggiate nei modi e nei posti più impensati.

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  5. LdS,
    condivido per Tiziano Scarpa Venezia è una città da sentire con i piedi.
    Curioso di osservare la qualità degli scorrazzamenti chioggesi.
    Anche Milano ama il parcheggio ‘selvaggio’ cosa che mi ha sempre stupito.

    Saluti,
    Salvatore

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  6. par che facciano apposta a non inquadrare le auto... difficile trovarne su internet. vogliono farla apparire veneziana (che poi son genovesi)

    http://esistere.blog.tiscali.it/wp-content/blogs.dir/17637/files/scorci-di-chioggia/chioggia-scorci-3.jpg
    http://fotoalbum.virgilio.it/ciosa/chioggia/06chioggiacorsodelpopolo.html

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  7. Lineadisenso,
    basta prendere google street che trovi anche i tipici, settentrionali, panni stesi.

    Saluti,
    Salvatore D'Agostino


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