28 maggio 2012

0007 [MEDIA CIVICO] La misura e il contorno a vasto respiro di Luciano Marabello

di Salvatore D’Agostino 

Prima di questo tweet: 
qui
non conoscevo il blog corpodellecose di Luciano Marabello. Un heresphere possente come scrive Hassan Bogdan Pautàs l’ho subito disturbato con po’ di mail.










Salvatore D’Agostino 
   Luciano, 
ti va un dialogo per la rubrica 'Media Civico' di Wilfing Architettura?

Luciano Marabello 
   ciao Salvatore
non so quanto io sia un media civico
ma se ne può parlare...
darò un occhiata alla rubrica che forse nello specifico non ho mai letto.
Qualche volta invece ho frequentato con piacere (seppure poco assiduamente) il tuo WA. 

PS: il mio blog è solo fatto di scritture intorno- dentro- sopra- sotto- accanto alle cose e parte dai  corpi-materia per poi affrancarsene. Vedere è sempre troppo, parlarne è solo una piccola possibilità.

   Luciano,
abbiamo già iniziato il nostro dialogo poiché è vero, il tuo racconto in rete non t’identifica come ‘media civico’ nella definizione data dagli studiosi del ‘The Center for Future Civic Media ma rientra nell’idea di quisfera o herepshere ovvero di una scrittura: «intorno - dentro - sopra - sotto- accanto alle cose e parte dai  corpi-materia per poi affrancarsene».
Qual è il senso del nome del tuo blog: corpodellecose? 

   Provo a spiegare  il nome: Corpodellecose forse è nato per la mia ossessione di un principio materiale delle cose. 

   1) Corpodellecose è un nome che nasce dall'idea di materialità, di costruttività e distruttività che in ambiti diversi o forse sempre uguali (ricerca pratica e teorica, azione urbana e intervento d’opinione) mi hanno sempre interessato.
La corporeità si offre attraverso le cose che ci circondano, che si spostano, che nascondiamo, che costruiamo, che eliminiamo, che appaiono e che poi si dissolvono davanti a noi.
Il corpo e le cose sono sempre unicità e varietà, eccezionalità ed elencazione. "Corpodellecose" come si vede è anche scritto senza separazione, si legge d'un fiato, per non isolarne i significati: perché le cose, tutte le cose,  hanno un corpo, hanno una internità e una esternità, una coesione e una sconnessione, una unicità e una frammentazione, e questo avviene, contemporaneamente, tutto insieme a volte tutto d'un fiato e anzi senza fiato.
Attraverso la materialità mi interessa rileggere le immaterialità, attraverso il corpo / i corpi mi interessa rileggere lo spazio.
I processi aspaziali e la pervasività delle immagini degli ultimi 20 anni non hanno scalfito la sostanza, anzi penso che in alcuni casi hanno rafforzato la corporeità e l’idea che ne abbiamo. 

   2) Il sottotitolo del blog è "dentro, fuori, sopra, sotto il corpo delle cose e anche dopo" proprio perché la visione non vuole rinchiudersi nel corpo, ma ha consapevolezza che il corpo in questi anni è anche divenuto concettualmente residuale, ma seppure modificato può essere sempre un tramite  rappresentando  i passaggi di stato, le trasformazioni, l'assenza, la presenza o meglio la con-sistenza. La con-sistenza mi interessa per il valore del suffisso Con, cioè come cum-sistere, cioè  valore di comunanza dell'esistere.
Il Con-sistere è attaccato oggi di sicuro da tanti fattori interni ed esterni, ma  si riconfigura, si ricostruisce anche attraverso le parole e le azioni sparse, in rete o nella terra, intorno ad un albero o nello spazio confinato di un fabbricato, nella strada o sul tetto di una stazione, in maniera intima e pubblica, individuale ma anche volontariamente comune.
Sono stato un po' lungo e frammentario ma è un po’ ciò che  accade anche nel mio blog. Nel nome poi rimane l'infinito elenco possibile: corpodellecose viste, corpodellecose materiali, corpodellecose nascoste, corpodellecose impalpabili, corpodellecose immateriali, corpodellecose infinite, corpodellecose.... 

   Condivido l’idea di un racconto sensoriale dilatato, indefinito, non selettivo, non almanaccabile sulle cose - tutte le cose - che s’incontrano.
Leggendo i tuoi ritratti sulle cose mi è venuta in mente una frase di Vincent Van Gogh in una lettera inviata al fratello Theo (settembre 1881): «Ho imparato a misurare, osservare e a cercare il contorno a vasto respiro».
Il contorno a vasto respiro. 

«La misura e il contorno a vasto respiro».

   È un'immagine pertinente; con questa citazione apri il campo della dilatazione del corpodellecose, anzi dell'estensione del corpo fuori da sé. Le micronarrazioni del Corpodellecose riguardano corpi  estesi, tali corpidellecose sia quando questi sono organici, sia quando sono minutamente inorganici, si distendono sulla terra o sui rami, vanno per mare o per aria, ricomprendono l'intorno e lo respirano.
È un procedimento inverso alla mia quotidiana disciplina di costruzione della forma la quale  partendo dai segni, dalle tracce e dalle spinte espressive varie, poi transita nel razionale concreto, quello della tecnica e dell'utilitas (quella che Luigi Moretti1 indicava come terreno proprio dell'architettura cioè una trans forma e trasfigurazione), le osservazioni in queste micronarrazioni del blog sono al contrario uno sconfinamento dal contorno, chiamalo se vuoi decadrage sistematico, o tentativo di una narrazione aperta che prende spesso le mosse da un'astrazione o da una inquadratura apparentemente chiara e netta.
Forse è Un racconto di cose solide senza la definizione netta del contorno.
Non è un flusso sensoriale, ma piuttosto è un flusso che osserva la migrazione del corpo dal dentro al fuori, reincorpora tattilità e sensorialità anche quando la crudità della partenza del dato oggettivo  sembrava escluderla. La possibilità di remapping del corpo è proprio possibile sconfinando dai contorni.
Più che di racconto non selettivo parlerei di un'altra forma di lista e di priorità, quella derivata da uno sguardo posizionale che si muove senza determismo e si interroga su quello che è visibile e su quello che è appena fuori dal quadro, come un testo in cui ritrovare l’importanza del vuoto in relazione al disegno del pieno, lo raccontava già Matisse: è come se «il disegno dei vuoti lasciati intorno alle foglie contasse come il disegno delle foglie stesse».2

   La nozione di sconfinamento dal contorno non deforma il corpodellecose, il quale non abbandona la sua origine e la sua configurazione iniziale, gli stiramenti e gli appiattimenti consentono infatti la possibile lettura della figura originale, è un’azione che porta il corpodellecose fino ai suoi limiti, a volte anche lontano dai suoi inizi, ma strappare la figura al figurativo della narrazione è sempre una cosa difficile nella scrittura.
Se posso rilanciare senza "allargarmi" troppo, il contorno a vasto respiro è una modalità fortemente Intimista e Privata e contemporanemente fortemente Politica, e questo mi interessa molto. 

   Mauro Francesco Minervino nel sul libro Statale 18 scrive:
«Mentre attraverso questo sud della città a nastro capisco anche perché posti così per essere raccontati non hanno più bisogno della penna eclettica dei viaggiatori stranieri o di quella molto meno alata degli inviati speciali. Le didascalie dei viaggiatori a cottimo degli inserti turistici, le rubriche estive dei giornali sono spazzatura. Nel contemporaneo il Grand Tour di questa nuova miseria che si disegna sui bordi delle statali alle latitudini del sud si scrive, o si riscrive, fuor di letteratura e di apologo antropologico. Basta registrare lo sguardo riflesso dei luoghi. Si legge nel frammento umano, nelle posture e nei gesti delle persone, si specchia come un residuo di anima nell’immagine infranta del paesaggio, in ciò che vi abbiamo costruito, nelle forme incogrue che occupano lo spazio. Quella che viene incontro è l’immagine corriva e spiazzante che occupa, qui e ora, il reale così com’è. Qui l’architettura, la forma dello spazio costruito, è insieme documento e sguardo riflesso di ciò che siamo. Qualcosa che non teme più di mostrarsi com’è. Priva di anima e di grazia mapiena di prepotenza, sovraccarica di presenza. Lo sguardo dovrebbe essere allora già esso stesso conoscenza, attenzione, autopsia».3
Leggendo il tuo corpodellecose possiamo parlare di un’autopsia del qui e ora? 

   Non ho letto ancora il testo di Minervino, quindi mi fermerò alle considerazioni che si leggono nel breve estratto che citi nella domanda.
Quello che c'è Qui e Ora è una materia cretta, mai liscia, il racconto possibile è quello interno alle pieghe ed esteso al suo intorno, disteso sulle possibilità di una qualche chance di senso o di significato.
Il termine Autopsia lo posso accettare solo nella sua natura etimologica del vedere da sé, coi propri occhi, il dato reale infatti malgrado tutto, nella sua desolazione e confusione ha una sua vitalità scomoda e anche inestetica, ma che non permette di fare agire l'Autopsia come un'esame Post mortem, piuttosto è un'osservazione sul tavolo operatorio con il corpo a carne viva.
In questi anni il limite dei corpi è già stato intaccato come da un coltello di Vesalio che entrando astrattamente e apparentemente senza versare sangue, ne ha scomposto le parti, ne ha alterato la coesione, ne ha scardinato le relazioni con il paesaggio umano e fisico.

   Tra corpo sezionato senza sangue versato (o forse avendone cancellato le tracce) e il corpo immateriale senza possibilità di dissezione occorre aprire lo sguardo sul corpo che ci è immediatamente accanto, poco più in là, a volte dentro di noi, scontornarlo e ricostruirne una possibilità, non Autopsia dopo la morte, ma vedere con i propri occhi in corso di vita.
La citazione di Minervino sul racconto del sud ma forse pure di tutta l'Italia mi fa venire in mente l'enormità del dato sulla Con-Vivenza forzata delle cose e dei corpi, dei corpidellecose sparsi nello spazio umano e non più urbano, l'accumulo accatastato e sconsiderato  smentisce   lo scritto di Walter Benjamin Il carattere Distruttivo del 19214 in cui parlava di un carattere proprio della modernità che aveva solo una parola d'ordine "Fare spazio", ecco Qui intorno a noi il carattere distruttivo che secondo Benjamin cancellava persino le tracce della distruzione, non è risuscito a fare spazio lasciando nei fatti una grande quantità di rottami, di oggetti sperduti, di umanità naufragate, che resistono in qualche modo, e formano materia esistente, ostinatamente. 

   Che cos’è strettamente necessario per te e per il sud? 

   La tua ultima domanda è alquanto impegnativa: direi che richiederebbe o molta leggerezza di risposta o molti capitoli e paragrafi. Non saprò farlo quindi provo a partire da una dichiarazione di principio un po’ lapidaria: lo stretto necessario non è poco, anzi spesso è troppo.
Nel senso che persino quello che può sembrare già selezionato attraverso il vedere con i propri occhi, può rivelarsi ancora troppo rispetto alle necessità, è sempre necessario vedere con un occhio sottrattivo e non omissivo.
Da questa dichiarazione di principio che sta in premessa posso provare a spiegare al massimo cosa è strettamente necessario per me; per la seconda parte della tua domanda ho dei dubbi a estendere o inquadrare lo strettamente necessario dell’intero Sud: sinceramente sarebbe come un azzardo di diagnosi e una presunzione di rimedio.

   In questo momento per me è strettamente necessario osservare, pensare, ragionare e progettare intorno ai termini del Con–Sistere, cioè come ho cercato di spiegare prima, vedere, ricalibrare e riprogettare attraverso la ri-nominazione del suffisso Con, indicatore del valore di comunanza delle cose.  È strettamente necessario un’afflusso di significati che bilanci il solo plusvalore estetico talmente pervasivo in questi anni da consumarsi nella sua sola rappresentazione.
E ancora per me è strettamente necessario ragionare intorno al tema dei Luoghi Comuni e di quali ridefinizioni, reinvenzioni, o perché no quando serve restauri dei luoghi, è possibile puntare per affrontare il tema del significato di cosa è necessario (a partire dalle tracce del Comune, di ciò che ci è Comune, di ciò che rende Comuni i fatti, i posti, le idee, le cose).
Questo ragionamento è venuto fuori spronato da una discussione fatta alcuni mesi fa in rete e scattata su  uno scritto di un mio vecchio amico e compagno di collettivi persi nel tempo della mia giovinezza, lo scritto di Luigi Sturniolo5 affrontava e poneva dei punti di ragionamento politico su luoghi, lotte e il valore del Comune come risposta differente al presente. Penso dunque che scoprire o reinventarsi, progettare o immaginarsi dei Luoghi Comuni qui o altrove, al sud o al centro sia una cosa strettamente necessaria.
Il Luogo Comune è materiale o immateriale coesistendo senza gerarchia quando diventa comune alle vite, alle narrazioni e agli sguardi di chi lo abita. Comune per un giorno o per una vita; Comune per avvicinamenti e collisioni; Comune in superficie e in profondità; Comune per dei si e dei no; Comune per volontà e per casualità.

   Occorre sempre capire se i Luoghi Comuni esistono quindi per caso, per progetto o per esito e  chi rende poi comuni i luoghi. I processi aggregativi? il passaggio vitale degli abitanti? Oppure il disegno organizzato che dispone le condizioni perché questa comunanza si sviluppi? I pezzi di città in continua collisione, le parti di territorio conflittuali, gli spazi delle relazioni, contengono, per tutti noi che progettiamo in vario modo, un mistero: l’incertezza se cioè sarà il progetto materiale e immateriale a segnare il loro destino o sarà l’uso stratificato, reiterato, creativo o distratto a farne la loro vocazione. Il progetto deve prevedere le cose che accadono, o meglio immaginare cosa accadrà, ma il progetto non è sufficiente ed esaustivo: riparte da li, con altri attori, dove vi è stato il compimento. Il progetto si confronta con l’esistente lo assume per spostarsi in avanti e per sfuggire alla stessa ambiguità dell’esistente che è scrittura in divenire ma anche attività celibe del presente. Dentro un suffisso, quello del Con, c’è una possibilità di riconfigurare Luoghi Comuni delle cose, Luoghi Comuni nel Territorio, Luoghi Comuni nel Paesaggio, Luoghi Comuni nella Città, potenziali Luoghi Comuni di bordo, appena scontornati e quindi in quell’area dove le cose sono sul punto di diventare altro proprio perché si aprono al Con, ma nulla di Sacro nel Con anzi solo una semplice possibilità umana. Il corpodellecose forse semplicemente con-vive con tutto il resto.
«...And if you please I'll take you
out of the atmosphere that I
built. For you».


Arms and Sleepers - The Architekt 
28 maggio 2012
Intersezioni ---> Media civico
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Note:
1 Luigi Moretti, Trasfigurazioni di strutture Murarie, Spazio anno II, n.4 gennaio-febbraio 1951, pp.5-16, contenuta a cura di F.Bucci e M.Mulazzani, Luigi Moretti  opere e scritti, Electa, Milano 2000.
2 Henri Matisse, Scritti e Pensieri sull'arte, Einaudi, Torino, 1998.
3 Mauro Francesco Minervino, Statale 18, Fandango, Roma, 2010, pp. 82-83.
4 Walter Benjamin, Il carattere distruttivo,  Millepiani 4/95.
5 Luigi Sturniolo , I “luoghi comuni” delle Lotte. Micromega, 22 novembre 2011.*

2 commenti:

  1. Mi piace l'idea di "luogo comune", è qualcosa di cui sento il bisogno.

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  2. Rem,
    siamo in due.
    Più volte in questi anni ho riflettuto sul ribaltamento di senso del ‘luogo comune’ dove il termine ‘luogo’ assume la valenza del qui, del paesaggio, del territorio e ‘comune’ di chi abita quel qui, quel paesaggio e quel territorio.
    Poiché nella mia attività pedestre non ho mai incontrato due ‘luoghi comuni’ ovvero simili tra loro.
    Gli unici luoghi comuni frullano nelle teste dei giornalisti ‘del pezzo’ e dei blogger ‘opinionisti.

    Ci vediamo per le strade,
    Salvatore D’Agostino

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