25 gennaio 2013

0050 [SPECULAZIONE] La storia di Michel Rojkind

di Salvatore D'Agostino


Il sito dell’architetto messicano Michel Rojkind è costituito da solo foto, non ci sono disegni né note. Dodici foto a tutto schermo si alternano a ritmo cadenzato. Piano piano scorrono delle immagini perfette dai colori decisi e accesi che ricordano l’estetica delle vecchie pellicole ‘gold’ della Kodak. In questo lento scorrere, gli edifici realizzati si miscelano con i rendering dei futuri progetti. Le foto ‘gold’ e i rendering si confondono a tal punto che, sia i primi che i secondi, sembrano uguali.

Sul tema dei rendering la rivista Clog - agosto 2012 – ha dedicato un approfondimento raccogliendo alcuni punti di vista di autori sparsi in tutto il mondo. In questo numero, i francesi di labtop sostengono che il rendering sta all'architettura come la pornografia all'adolescente perché immaginati per soddisfare le fantasie del lettore. L’indiana Deepa Ramaswamy nota che, davanti ai render, non c’è nessun popolo, nessun disordine, nessuna sporcizia ma solo una rappresentazione pulita, solo ‘purezza formale’. Per lo statunitense Jacob Reidel, il redenring è un’onesta immagine di come dovrebbe diventare un’architettura per aiutare il cliente che si accinge a spendere i propri soldi e Jon Brouchoud ci proietta nel futuro affermando che l’implementazione dei modelli offriranno nuove potenzialità nel creare uffici virtuali, case, città nel cyberspazio (sì proprio cyberspazio una parola quasi obsoleta) creando luoghi che possiamo rimodulare in qualsiasi momento.

Per capire se Michel Rojkind sia o meno un architetto rendering, v’invito a leggere un testo di Diana Amador*, pubblicato sulla rivista peruviana Etiqueta Negra

(Tra parentesi, come dicevo nei commenti qui, mi piacerebbe leggere storie di architetti normali - parafrasando il nome della ex banda rock di Michel Rojkind - con lo stesso afflato emotivo che i giornalisti riservano ai BIG. Sempre tra parentesi, è vero anche che non serve aspettare che lo facciano i media, con il web è finito il tempo dei sospiri seduti comodamente sul divano di casa, tocca a noi, ad ognuno di noi. Un po’ come fanno, da qualche anno, gli architetti senza tetto con la loro rubrica ‘Giovani Creativi Guerrieri’.)

di Diana Amador

Michel Rojkind non è mai stato un grande idolo del rock, ma che sia un ribelle è fuori discussione. Negli anni novanta suonava la batteria con Aleks Syntek y la gente normal, una pop band che ha venduto 250mila copie del suo secondo album.  Nel business della musica, i batteristi occupano un modesto secondo posto.


A Rojkind questa posizione non piaceva. Prima di compiere trent'anni, nel 1998, ha cercato di dire la sua sulle scelte di marketing della band. Il cantante gli ha chiesto di concentrarsi sulla musica e di continuare a battere sui tamburi. Allora lui ha lasciato le bacchette per una matita.

Michel Rojkind ha sempre odiato che qualcuno gli dica cosa fare, e la sua insofferenza non è solo di facciata. Adesso tiene il ritmo di un'orchestra di designer e architetti che danno forma alle sue idee. Rojkind dice che il suo lavoro è capire quello che vogliono i suoi clienti meglio di quanto sappiano fare loro stessi. Quando Nestlé gli ha chiesto di progettare un tunnel per le visite guidate, lui ha deciso che il vecchio stabilimento avrebbe "rovinato" l'idea che aveva in mente. Il suo tunnel. Così ha proposto di creare un museo del cioccolato, una specie di luna park con un teatro, una cucina in cui i bambini potessero preparare i loro dolci e un negozio di dolciumi e souvenir. Il lavoro che era stato commissionato a Rojkind era una galleria per permettere alle persone di attraversare la fabbrica, lui invece ha creato uno spazio che invoglia il visitatore a non andarsene mai. La struttura finale sembra un origami incompiuto di un rosso acceso che sbocca nell'antica fabbrica.

Rojkind continua a fare spettacolo, come quando suonava negli anni novanta. Adesso però si esibisce su altri palcoscenici  I suoi edifici sono show di colori intensi, sculture dagli angoli a zigzag o edifici dalle curve sinuose inondate di luce naturale. Se la normalità era la sua firma come batterista il suo lavoro come architetto è sconcertante  Per un anno intero il suo studio, Roj­kind Arquitectos, ha rifiutato tutti i clienti e si è mantenuto grazie ai risparmi del batterista. Nessuno sembrava interessato alle sue idee. Una volta l'hanno invitato a partecipare a un concorso e il cliente gli ha fornito un diagramma che indicava perfino dove avrebbero dovuto essere sistemate le decorazioni e le piante. Rojkind non capiva perché l'avessero chiamato. Lui è un architetto  non un costruttore. Oggi ha tredici progetti in corso e il governo messicano gli ha chiesto di rimodernare la cineteca nazionale, un noioso edificio grigio costruito negli anni settanta. Dovrà trasformarlo in una struttura all'avanguardia con sale per proiettare i film in uscita e con l'archivio cinematografico del paese.

Il tavolo di Michel Rojkind coperto di piani, fotografie e carte. Lavora qui quando riesce a trovare lo spazio necessario. Davanti,  una parete ricoperta di immagini degli interni della cineteca nazionale veglia su di lui. A volte si ferma davanti a quelle immagini e le osserva con la curiosità che forse ha ereditato dal padre, il dottor Marcos Rojkind Matiuk, premio nazionale per le scienze e le arti nel 1985 ed esperto nello studio della cirrosi. Dice che da lui non ha imparato la disciplina scientifica ma la testardaggine e la voglia di dimostrare di essere nel giusto. Rojkind dice di odiare la comodità. Per lui è un segnale del fatto che qualcosa va storto. Per questa gli piace lavorare in mezzo al caos, senza paura degli errori, ed è sempre disposto a sorprendersi.  Racconta che a volte si sente come un bambino intrappolato nella fase in cui si chiede sempre "perché" e di aver fatto dell'architettura un esercizio interrogativo. Lo chiama design diagnostico adat­tativo, un gioco di iniziali che richiama il deficit di attenzione. 

Prima di chiedere quanto è grande il terreno dove sorgerà il suo edificio, l'architetto vuole conoscere altri dettagli dei suoi clienti:  se i loro bambini sono capricciosi, come si sono conosciuti, se quando litigano è lui ad andarsene di casa, se organizzano grandi feste, se gli piace ballare, se pensano di avere altri figli. Rojkind costruisce case ed edifici con la stessa cura del sarto che cuce un vestito su misura. Annota allo stesso modo le dimensioni della casa e le manie di ognuno dei suoi abitanti. 

Rojkind e la sua squadra non progettano per compiacere. "Noi non facciamo mai quello che ci dicono di fare", racconta con lo stesso sorriso con cui riesce a farsi portare dalla segretaria un caffè anche se tutti i bar nel raggio di due chilometri sono chiusi.  Il primo cliente che ha accettato le sue idee voleva ristrutturare la sua casa per ritagliare un appartamento per la figlia, una giovane ballerina. Anche se i soldi erano del padre, Rojkind doveva assolutamente parlare con la figlia. Voleva capire qual è il rapporto di una ragazza di diciannove anni con il balletto. Allora è venuto a sapere che la ragazza aveva vinto una borsa di studio per studiare danza in Russia, e ha deciso di prepararla a quell'esperienza con un ambiente artistico e stimolante. Le riviste specializzate si sono concentrate su quel paio di rettangoli foderati di latta rossa che sembrano intrecciarsi come due figure danzanti.  La prima hit dell'architetto Rojkind.

Michel Rojkind ha trasformato Città del Messico nel suo palcoscenico. La rivista Architectural Record ha scritto che lo studio che dirige è uno dei dieci gruppi di architetti più innovatori del mondo; qualche tempo dopo il Los Angeles Times l'ha citato nella sua lista annuale di "Faces to watch" e nel 2011 Wallpaper, la rivista specializzata in architettura e design, l'ha definito uno dei centocinquanta creativi che hanno influenzato il mondo dall'inizio degli anni duemila.

Rojkind mi accoglie in un ufficio silenzioso del suo studio, che si trova in uno dei quartieri più movimentati di Città del Messico.  Sembra troppo cortese per la fama che lo precede. Continua a vestirsi come quando era un batterista: braccialetti neri, jeans slavati e piercing al sopracciglio. Il suo abbigliamento non è la maschera di un nostalgico quarantenne, ma il riflesso di una personalità anticonformista. Vent'anni fa divideva il suo tempo tra un tavolo da disegno e i palcoscenici di tutta l'America Latina. Durante il giorno disegnava progetti architettonici e la sera si scioglieva i capelli per cantare "ninas bonitas, lindas criaturi­tas". Poi un giorno si e unito alla confraternita dei disertori del rock. Terry Chimes, batterista della formazione originale dei Clash, ha lasciato il punk per diventare chiropratico.  Alex James, il bassista dei Blur, è diventato un produttore artigianale di formaggio.  Bill Berry, batterista dei R.E.M., ha abbandonato la musica per raccogliere zucche nella sua fattoria.

Adesso Rojkind è sotto i riflettori di un altro palcoscenico, e non riceve solo applausi. Una volta Ricardo Legorreta, uno dei pili importanti architetti messicani, ha detto: "Gli architetti di oggi credono che tutto ciò che rappresenta il passato non abbia valore è quindi debba essere distrutto". Non ha mai pronunciato il nome di Roj­kind, ma i giornalisti sapevano a chi era diretta la frecciata. Rojkind è accusato di essere superficiale, presuntuoso è vuoto. Ma l'architetto ribelle sa bene che nessuno può stare simpatico a tutti. Lui sa incassare i colpi, non è un combattente alle prime armi.

Quando era all'università ha avuto un professore convinto che una rockstar non meritasse di laurearsi. "Era molto serio quando mi diceva che non dovevo più fargli perdere del tempo, che dovevo farlo lavorare con le persone che, invece, avevano un'opportunità di riuscire a finire gli studi". Allora il giovane dalla chioma bionda si è sentito punto sul viso, e ha raccolto la sfida. "La società dice che non puoi fare due cose allo stesso tempo, e che se le fai, una delle due ti verrà male. Io ho dimostrato che si sbagliavano", mi dice con convinzione quando racconta quella fase della sua vita.

Anche se durante l'università è stato più a concerti che a lezione, ci sono professori che ancora si ricordano di lui. Jose Maria Nava Townsend, professore dell'Universidad Iberoamericana, ha avuto una delle "migliori sorprese" della sua carriera di insegnante alla metà degli anni novanta. Quest'architetto di origini britanniche dalla voce dolce e dalla pazienza infinita dice che quel giorno il batterista si è presentato a lezione con un registratore. Il compito consisteva nel mostrare il rapporto tra l'architettura e la musica. Il resto dei suoi compagni aveva presentato fotografie di edifici le cui forme presentavano ripetizioni, ritmo, cadenza, cose che Nava Townsend aveva visto già molte volte. Quando è arrivato il turno dello studente musicista, il professore ha potuto intravedere il suo talento. Rojkind ha premuto play e l'aula si è riempita della musica dei Pink Floyd e dei Led Zeppelin, mentre nel frattempo proiettava immagini astratte di linee e figure che imitavano il ritmo della musica. Nava Townsend ha avuto allora la certezza che il futuro del suo alunno non fosse la batteria.

Rojkind si è laureato a venticinque anni e adesso, più di quindici anni dopo, è un artista che si presenta nella pubblicità del Johnnie Walker dicendo, con lo sguardo al cielo, che la cosa più difficile della sua carriera è stata convincere se stesso che un musicista poteva anche essere un architetto memorabile. Ha pure realizzato una pubblicità per la Hp sull'importanza di "seguire i tuoi sogni anche se il mondo ti dice che non puoi farlo". Ma quando una popolare rivista rosa gli ha proposto di far parte della lista dei "dodici uomini più sexy del 2012" non ha accettato. "Non sono la mia faccia", dice. "Non sono il mio addome. Non sono più una rockstar". Gli piace ripetere che quando lavora a un progetto di architettura, il suo ego scompare.

L'architetto-musicista è un artista a cui non sembra interessare la popolarità. Tempo fa trentasette architetti hanno partecipato a un concorso per disegnare un monumento per commemorare i duecento anni dell'indipendenza del Messico. Il budget stanziato per gli archi del bicentenario era milionario e c'era la possibilità di entrare a far parte della storia architettonica del paese. Qualcuno ha proposto un anello gigante che abbracciasse alcuni dei grandi monumenti sull'avenida Reforma, altri hanno emulato l'Arco di trionfo parigino, ma alla fine ha vinto una torre di luce che sembra più un biscotto che un arco. A Rojkind sembrava che il budget stanziato fosse eccessivo e ha presentato un progetto perdente: ha proposto degli archi composti da cinquemila case popolari, a indicare che i festeggiamenti non valevano quella spesa né quell'impegno. "Festeggiamo le buche per strada o il fatto di perdere due ore al giorno nel traffico?", ha detto infuriato in un'intervista dopo l'annuncio del verdetto.
Ma Rojkind non è un disubbidiente capriccioso. Quando la ministra della cultura l'ha contattato per chiedergli di rinnovare la cineteca con un budget di 380 milioni di pesos (quasi trenta milioni di dollari), ha accettato. Ha trasformato il vecchio edificio in un alveare gigante che conserva la luce del sole in ogni angolo. L'architetto preferisce le forme organiche. "Quando resti a corto di idee", dice, "devi tornare alla natura". Queste sono le regole che segue.

Per lavorare con lui a questi progetti, nessuno può arrivare allo studio dopo le nove di mattina né uscire prima delle otto di sera. Il tempo è sempre agli sgoccioli. L'agenda e pianificata con promesse e progetti per almeno i due mesi successivi. "Il problema è stare al passo di Michel. Mentre tu festeggi per la fine di un progetto, lui ne sta già pianificando altri venti", dice con un sorriso stanco il socio Gerardo Salinas. È il volto più sobrio e formale di questo studio, quello che può concentrarsi su un solo progetto fino alla fine. Quando lavorava negli Stati Uniti, Salinas era famoso per il suo anticonformismo e perché si presentava in ufficio con una bottiglia di tequila, ma adesso il suo compito è controllare il suo socio. "Nessuno può mettere un freno a Michel. Io cerco solo di dare una struttura a questo vortice", dice con la calma di chi si è rassegnato.

È un vortice che potrebbe sconcertare il pubblico, ma Rojkind ha bisogno di trovare la logica in tutte le sue opere. Quando ha finito il museo del cioccolato, ha organizzato una visita personalizzata per la figlia di quattro anni, e come una guida ossessiva le ha spiegato fino al più piccolo dettaglio del suo progetto. Alla fine le ha chiesto cosa le fosse piaciuto di più. La giovane ispettrice ha ricordato la tenda dove aveva avuto i dolci. Rojkind era soddisfatto. Il museo aveva un senso: metteva in risalto il cioccolato.

Adesso vuole fare lo stesso con la cineteca. Argomentare ognuno dei suoi spazi. Con uno studio ha verificato che solo il 30 per cento dei cinefili arriva in macchina, quindi ha deciso che ridurrà le aree per la sosta in una città dove trovare spazio per parcheggiare l'auto è sempre un problema. Rojkind va controcorrente quando è convinto che la sua direzione sia quella giusta. All'architetto-musicista non importa se tra il pubblico c'è chi detesta le sue composizioni.  Se ricevesse solo applausi, Rojkind non potrebbe ribellarsi. Rojkind sarebbe normale.

25 gennaio 2013

Intersezioni ---> SPECULAZIONE
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Note:
* Articolo tradotto dalla rivista Intenazionale: Diana Amador, Michel Rojkind - Architetto ribelle, Internazionale, 18/24 gennaio 2013, n. 983, pp.64-65.

5 commenti:

  1. ciao Salvatore:
    1. grazie per averci citati, per ora siamo un po' fermi ma appena nelle nostre vite ci sarà un po' di chiarezza riprenderemo i nostri giri esplorativi.
    2. molto interessante il numero di Clog, devo assolutamente cercarlo.
    3. "architetto da rendering" mi sembra una giusta definizione.

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    1. REM,
      non ti sembra strano quest'affermazione (qui) di oggi?:

      "Il Presidente Paolo Baratta ha fatto il punto sull’evoluzione della Biennale Architettura e di conseguenza sulla scelta di Rem Koolhaas:
      “Siamo universalmente riconosciuti come il più importante appuntamento del mondo per l’Architettura; siamo il luogo dove l’Architettura parla di se stessa e incontra la vita e la società civile. Proprio per questo negli ultimi anni siamo partiti dalla constatazione della separatezza e del divario tra la “spettacolarizzazione” dell’architettura da un lato, e della scarsa capacità di esprimere domanda ed esigenze da parte della società civile dall’altro. Gli architetti sono stati chiamati prevalentemente a realizzare opere stupefacenti e l’«ordinario» è alla deriva, verso la banalità quando non lo squallore: una modernità mal vissuta."

      Non ti sembra strano affidare al re dello spettacolo dell'architettura una biennale sulla presunta architettura 'normale'?

      Saluti,
      Salvatore D'Agostino.

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    2. Insomma qui

      PS forse ho capito dove sbaglio

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  2. Ogni volta che mi chiedono tu qui cosa faresti... Ogni volta che progetto lavorando sul bidimensionale in pianta o prospetto... Ho delle idee... più di una idea... e penso che così possa funzionare bene ... O meglio rispetto ad altre maniere... Poi costruisco un modello e lo controllo attraverso vedute diverse... E quasi sempre... O spesso... Scopro di voler migliorare qualcosa... che l'altra via inizialmente esclusa funziona meglio... Di voler cambiare qualcosa... Qualche volta di dover ripartire da capo... Nel frattempo carico i materiali... E il colore... Ruvido o liscio, opaco o lucido, chiaro o scuro... E inizio a ragionare sulla luce, quella naturale, al mattino, alla sera, e quella artificiale... Così torno e riparto dal 3D alla pianta e dal fronte al 3D a ritmo serrato... A me i render servono a questo... non devono essere belli ... Ma utili... Quelli finali, con i soprammobili, i bimbi, gli aquiloni ... non servono"

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    Risposte
    1. Paolo Carli Moretti,
      condivido il tuo processo ideativo ma il render fa la fortuna 'mediatica' di un architetto.
      Hai visto i redering dello studio labtop?
      Che su CLOG parlano di pornografia ma nella realtà realizzano i rendering per i big dell'architettura.

      Oggi non possiamo sottovalutare il potere 'comunicativo' del render.

      Saluti,
      Salvatore D'Agostino

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